“Una storia non è una strada da percorrere… è più come una casa. Ci entri e ci rimani per un po’, andando avanti e indietro e sistemandoti dove ti pare, scoprendo come le camere stiano in rapporto col corridoio, come il mondo esterno viene alterato se lo guardi da queste finestre. E anche tu, il visitatore, il lettore, sei alterato dall’essere in questo spazio chiuso, ampio e facile o pieno di svolte e angoli che sia, pieno oppure vuoto di arredamento. Puoi tornarci più volte, e la casa, la storia, contiene sempre di più di quando l’hai vista l’ultima volta. Trasmette anche un forte senso di sé, di essere stata costruita per una sua necessità, non solo per fare da riparo o per stupirti.”
– Alice Munro, Selected Stories, 1968-1994
L’architettura letteraria
Quante volte ci è capitato, leggendo un libro, di avere l’impressione di trovarci all’interno di una struttura costruita, consciamente o inconsciamente, dallo scrittore? Non il naturale processo di visualizzazione delle ambientazioni descritte nel testo, ma la netta sensazione di sentirsi immersi in uno spazio, uno spazio letterario, costruito da qualcun altro.
Nel descrivere testi letterari si usano spesso metafore architettoniche, a partire dall’“architettura del romanzo”. Parlare di “costruzione di un testo” rende bene l’idea del laborioso atto di concatenare una parola all’altra. Come in un progetto architettonico – dove si ha a che fare con idee spaziali da articolare, concatenare e trasmettere, strutture di sostegno, sequenze di volumi, sospensioni e sorprese – le questioni in un testo narrativo sembrano simili: come collegare diversi piani narrativi? Come esprimere tensione? Come organizzare la cronologia? Come collegare personaggi o creare un vuoto?
Il Laboratorio di architettura letteraria è un’esplorazione multidisciplinare della narrativa e dello spazio. È per chiunque sia interessato alla letteratura – dalle superiori a corsi universitari e oltre – e, in particolare, per studenti di letteratura, scrittura creativa e architettura e per professionisti, perché mostra come il pensiero puro, spaziale, privo di parole sia un aspetto essenziale di strutture sia letterarie sia architettoniche.