Il raccolto

di Amy Hempel
Progetto di Andrea Bruno, Stefania Eusebietti e Vincenzo Latronico

“[Un] senso di irrimediabilità ci è parso il cuore del testo di Hempel. Un racconto tradizionale – dettagliato, emozionante, triste, ironico – sfocia bruscamente in una porta sul retro. Se ne vede il making-of, scorgendo la ragione di ogni omissione e falsità: le insicurezze di chi scrive in merito all’efficacia di un dettaglio, la paura di essere fraintesi, il bisogno di colpire l’attenzione del lettore.

[…] un edificio a picco su una formazione rocciosa – un belvedere su una scogliera, o un osservatorio di montagna. […] Lo spazio si presenta fluido e leggibile […] La pianta è rettangolare; il lato minore sulla destra è una parete vetrata che si affaccia sul paesaggio. Lo spazio appare controllato nel minimo dettaglio. Percorrendo la rampa lungo la parete sinistra se ne percepisce chiaramente la scansione, ritmata da quattro pilastri a sezione quadrata. Dalla pavimentazione sporgono alcuni elementi rettangolari in calcestruzzo […] L’impressione complessiva è di organicità.

In corrispondenza dell’ingresso, ma più in basso […] si trova un’altra porta. … Lo spazio a cui conduce […] anch’esso ha una parete vetrata; anch’esso contiene elementi geometrici in calcestruzzo identici ai precedenti. Proseguendo lungo la rampa ci si rende conto che il primo ambiente […] era sospeso nel secondo; e che tutto ciò che si credeva di aver compreso, entrandovi, era un fraintendimento o una falsità. I pilastri che parevano reggerne il soffitto proseguono attraverso il pavimento nell’ambiente sottostante, ma non fino al suolo, rivelandosi elementi estetici e non strutturali. Viceversa, una di quelle che prima sembravano sedute non era che la sommità dell’unico elemento portante che regge il primo ambiente.

[…] La grande sala [inferiore] non presenta altre porte, ma è immediato pensare che questo processo di inabissamento – la scoperta di spazi sottostanti sempre più grandi, il ribaltamento delle aspettative strutturali – ormai possa ripetersi all’infinito. Da questa delusione non c’è catarsi. Nonostante la bellezza della vista, di quei pilastri non c’è da fidarsi.”

Festival di architettura di Torino