Storie da abitare

Matteo Pericoli
IL GRANDE MUSEO VIVENTE DELL’IMMAGINAZIONE
Guida all’esplorazione dell’architettura letteraria
pp. 166, € 25, il Saggiatore, Milano 2022

di Luigi Marfè

“Se l’architettura di un romanzo fosse un edificio”, chiede Matteo Pericoli in Il grande museo vivente dell’immaginazione, “che forma avrebbe?”. Dopo Finestre su New York (il Saggiatore, 2019) e Finestre sull’altrove (il Saggiatore, 2021), in questo nuovo libro l’autore si interroga, attraverso l’esplorazione di una serie di metafore spaziali, sulle forme visibili della creatività narrativa: quella “netta impressione”, mentre leggiamo, “di sentirci immersi in una specie di costruzione che ha un suo funzionamento e una sua struttura”. Del resto, le teorie letterarie si sono spesso servite di immagini architettoniche per descrivere i processi compositivi, dalla tecnica dei loci della retorica classica alle funzioni costruttive del formalismo. “La casa della narrativa ha molte finestre, ma solo due o tre porte”, ha scritto più di recente James Wood in Come funzionano i romanzi (2008). Architetto, scrittore e disegnatore, Pericoli è convinto che metafore come questa non siano soltanto delle formulazioni astratte, ma che al contrario colgano elementi profondi dei processi cognitivi con cui la mente immagina gli universi narrativi. Ogni storia, a suo parere, può essere intesa come una specie di spazio da esplorare: “non esistono storie che non possono essere abitate e ispezionate al loro interno”.

Il grande museo vivente dell'immaginazioneIl grande museo vivente dell’immaginazione è pensato come un attraversamento, la visita a un ideale museo sulla creatività degli architetti e degli scrittori. “Questo non è un libro come gli altri. È un edificio”, scrive l’autore: al posto delle diverse sezioni ci sono dei piani, al posto dei capitoli altrettante sale. Arricchito di immagini, mappe e fotografie, il libro è un iconotesto, che mira a riabituare lo sguardo di chi legge all’osservazione di spazi fisici e mentali. Pericoli riflette sul rapporto tra la composizione narrativa e la progettazione architettonica, dà una lettura visiva di alcuni classici della narrativa, e propone degli esercizi di creatività narrativa. Come l’immaginazione degli scrittori, anche quella degli architetti, pare suggerire, non segue regole oggettive, ma è frutto di percezioni e intuizioni soggettive. Se ci sono “storie-che-sono-spazi”, ci sono anche “spazi-che-sono-storie”, e orientarsi nel mondo significa provare a sfogliarne le pagine: passeggiando per una città, “leggiamo intuitivamente percorsi, siamo attratti da improvvisi e ampi spazi vuoti, o dalla luce che penetra dal soffitto, o da un’enorme vetrata”. La leggibilità dello spazio è ciò che permette all’architetto di dargli una forma, componendo la superficie narrativa su cui esercitare la sua progettualità: “L’involucro dello spazio non è altro che l’insieme di tutte quelle parole, paragrafi e capitoli, espressi con il linguaggio dell’architettura e usati per articolare idee, concetti, storie e aspirazioni”.

Ogni architetto “racconta una storia”. Diversamente da quelle degli scrittori, tuttavia, non si configura come una “concatenazione di vicende”, ma di “spazi”: si tratta quindi di una “trama architettonica”, di una “narrazione spaziale”. Se gli architetti da sempre si nutrono dell’immaginario degli scrittori, al contrario questi ultimi hanno cercato nell’architettura il modo di dare visibilità ai propri racconti. Leggendo Il grande museo vivente dell’immaginazione torna in mente la poetica dello spazio di Gaston Bachelard, per cui le parole si potrebbero considerare come “piccole case” che lo scrittore si trova ad abitare, esplorare, arredare: “salire le scale della casa della parola significa, di gradino in gradino, astrarre”, scriveva Bachelard, “Scendere nella cantina, significa sognare, perdersi nei remoti corridoi di un’incerta etimologia, significa cercare nelle parole tesori introvabili”.

Le “architetture letterarie” delineate da Pericoli riguardano opere di Calvino, Ernaux, Vonnegut, Dürrenmatt, Conrad, Carrère, Saer, Ferrante, Tanizaki, Dostoevskij, Faulkner, Fenoglio. Il suo libro si presenta come un esercizio di “archi-critica”, se così si può dire, che in ogni testo cerca la forma visibile che meglio la descrive. Pericoli è convinto che l’immaginazione narrativa non si nutra soltanto di parole: “Esistono infatti altri pensieri – chiamiamoli intuizioni – spesso fatti di immaginazione o visualizzazioni che non sono né verbali né prodotti in modo causale dai ragionamenti che facciamo”. Le metafore visive possono essere una porta per accedere a questa diversa dimensione della creatività: “molto spesso questi pensieri o associazioni sono innescati da metafore che, se funzionano in quanto tali, sono dei veri e propri motori di immaginazione e creatività che, letteralmente, ci trasportano altrove”.

Luigi Marfè insegna critica letteraria e letterature comparate all’Università di Padova